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FILMICA
Farsi della sera imbrunire
vespero, camminando sciogliere le parole per riscaldamento, incontrarsi fuori
quindici minuti prima dell’inizio, qualcuna ritarderà ma non di molto, lei sa
lei va.
Elvira nome, parlante sempre in
bisbìglio e colori tenui avvolgendola, va al cinema, ma no multisala no
periferia no baraonda di genti plebee belluini richiami risate smargiasse
masticare di gomme popcorni e cochecole a bere, non sia mai, pur se questi timori
inconsistendo, tramontati trenta quaranta anni fa leggenda ormai, però non
potersi dire, verità fosse pigrizia di spostare auto dal parcheggio, tanta
fatica per trovarlo e tanta fortuna, ora per tre giorni resta lì, e i
cosiddetti mezzi pubblici no grazie, quelli sì che te li raccomando, c’è delle
genti… buzzurri, baluba, da dove vengono? Puzzano anche la maggior parte, e non
pagano, hai mai visto uno timbrare il biglietto? più sorrisetto ironico, allora
due passi a piedi facendo anche bene alla salute e ci vediamo davanti al cine. Cinemone
prima visione.
Soffermarsi all’esterno delle
vetrate luminose occhieggiare locandina e appecettato ritaglio recensione da
quotidiano nazionale di film giudicato con eccessivo favore da articoletto a
firma giovane pesando il sospetto, qualche dubbio resiste altro si insinua, di magnanimità
sgangherata leggendo raffinatezza dell’incastro e intelligenza del dialogo e
protagonista maschile prigioniero delle sue angosce e certa qual parabola non
detta essendo lineare e chiara ma rimarchevole per impegno sociale e politico
dei personaggi negativi, più lieto fine belle musiche, pezzo corredato da fotocolor
della protagonista femminile con smagliante sorriso occhioni sgranati a pallina
di trota lessata e busto reclinante all’obiettivo da cui vistose ombreggiature
di generoso décolleté, morbidezza uguale a collinette e valloncelli su cui luce
radente del tramonto lisci germogli di seminato tenero verde giallino, quanto
saranno alti quindici venti centimetri di grano orzo fieno bisognerebbe
intendersene per dire da lontano è difficile, similitudine permettendo.
Amiche sopraggiungendo insieme.
Benone grazie e voi, contenta di rivederti Selia, quanto tempo. Eh, tre mesi a
casa dai suoi, Utah, USA, Sheila detta Selia.
Entrate biglietti, Ippolita
tuttavia esponendo perplessità regista attori plot, ma no ma come, se ne è
sentito dire ogni bene, mah sarà per tutta risposta dubitativa.
Bere qualcosa al bar, c’è ancora
tempo, ah ma ognuna per sé certo e dopo una bella pizza so io un posto non lo
conosce ancora nessuno. Questi pizzaioli, un mistero, vanno vengono.
Strugge i cuori poltrone
imbottite pervenire oscurità avviluppando seta e velluto sparute lucine rosse
blu lontane presto invisibili solo dominando rumore di tuono più che musica annichilente
minacciosa divinità come piede
premistoffa laquale appiattite non osare sollevarsi e poi finalmente l’occhio
si perde risucchiato dal subisso di colori in movimento.
Prodotto da e da e da, seguendo in
ordine d’apparizione o alfabetico o isolata a tutto schermo nominazione di attori
maestranze regista, Deceiving titolo originale, in italiano traslatato Incubo
letale.
Anatolio va in casa altrui, in visita di cortesia, dopo un po’ sale in
camera, cuscino sghembo lenzuolo spiegazzato, apre l’armadio, si cambia
d’abito, insomma non è più in casa d’altri, è in casa sua, ora scende in
salotto, due grandi foto b/n alla parete, si siede in poltrona e dal palco
assiste al concerto spagliando lo sguardo sull’affollata platea, insomma non è
più in casa sua ma è a teatro, quindi esce dal palco fermandosi a contemplare
la luna che splende sul mare e affondando i piedi nudi nella sabbia, dunque è
all’aperto su una spiaggia, a questo punto si sveglia va in bagno si veste
prepara il caffè torna a spogliarsi torna in bagno barba denti doccia torna a
vestirsi ascolta notizie alla radio ricomincia a spogliarsi scruta il cielo
dalla finestra e finalmente, e solo ora, si sveglia, che grande fatica, guarda
il letto in disordine lenzuola appallottolate, tutto quanto ancora da fare, che
tristezza che umor grigio che pessimo modo di cominciare la giornata, col
malumore. Due aspirine.
All’altro capo della città dietro l’apparenza di una vita tranquilla vive
Deborah, la fidanzata di Anatolio, giovane e intraprendente ricercatrice che ha
perfezionato un software al cui acquisto sono interessati grandi gruppi
finanziari, lei infatti sta imbarcandosi per Singapore dove si prospetta la
firma di un colossale contratto. Anatolio resterà a casa.
Si va per le lunghe, sarà meglio
stringere.
A Singapore Deborah incontra Lo Strego, bieco indovino informatico che
gestisce una svagoteca sempre circondato da ombre ghignanti di gatti civette e
ragni pelosi, pochi però i ragni. Con un misterioso rituale magico Lo Strego la
mette in guardia da Anatolio sospettandolo di spionaggio industriale e di
mirare al dominio del mondo dopo essersi fraudolentemente impossessato
dell’invenzione di Deborah attraverso cui, finalmente si scopre, le persone
morte risorgono.
Allarmata da tensioni troppo a lungo represse, in preda al peggiore
degli incubi e senso di colpa crescente Deborah rientra precipitosamente a New
York accompagnata da Lo Strego. I preziosi file sono scomparsi, Anatolio non si
trova. Ah, e ora dove cercarlo? Finalmente i gatti e le civette riescono a
localizzarlo a Coney Island. Deriva inseguimento di auto in mezzo al traffico con
derapate sgommate ribaltamenti, scaravoltole diceva quello, Luigi Meneghello, dove?
Jura, Bausète? stridori scompiglio pim pam revolverate.
Ferito nella sparatoria Anatolio, accusato di un crimine che non ha
commesso, muore. Lo Strego procura un alibi di ferro a Deborah, ma i preziosi file non si trovano. Cambiare aria. I
due vanno a vivere a Hong Kong.
Proiettata in una situazione completamente nuova Deborah, sebbene forse
inizialmente attratta da Lo Strego, dapprima respinge la sua corte poi cede. Ricattata
dall’amante si presta al gioco e lottando per la sopravvivenza insieme tentano
di ricostruire la formula magica. L’impresa si rivela più difficile del
previsto. Lo Strego brancolando nel buio campiona una sostanza chimica all’odor
di macuba che gli brucia l’intelligenza artificiale per shock anafilattico
causato dall’allergia alla violetta da lui ignorata. Un epilogo tragico per
scelte estreme. Sarà cremato e disperso in mare.
Ma ecco il colpo di timone, un incontro inaspettato. Deborah riconosce
in un viandante malmesso il buon Anatolio che la sta cercando in giro per il
mondo e che ha con sé la preziosa formula. Lui stesso è stato resuscitato dai
ragni che, dissociati da gatti e civette, hanno rovistato con successo sotto il
letto di Deborah trovando il dischetto fra i lanicci i fazzolettini di carta e i
calzini sporchi accumulati col disordine di anni.
Per Anatolio e Deborah che finalmente hanno accesso ai palazzi del
potere arrivano successo fama soldi e amore. Anche alcuni gatti e civette
convertitisi a combattere le ingiustizie resteranno a vivere con loro, mentre
gli altri sono morti da tempo nel rogo di due auto in California. Pace
all’anima loro. The end.
Imbambolate uscire a rivedere
stellanti luminarie cittadine Allora questa pizza? Ripensando al film
discussione nasce. Sonniferoso secondo una, cogitosa l’altra se ermetico o
totalmente idiota, capolavoro per Selia. Hollywood docet, i nordamericani
saperlo loro come si fa il cinema, tutti bellissimi, migliori del mondo. Per
forza, gusto nostro attuale forgiato da voi e noi pecore beeeh beeeh proni
sempre in fila indiana a pagar pegno. E allora voi voi chi i francesi per
esempio. Beh ma intanto Resnais Truffaut Rohmer scusa se è poco. Poi c’è
Almodovar, per dire. Eh, ma lui. Comunque sempre la vecchia Europa. Noi voi
resto del mondo non fatemi ridere nomi a scorrere, margherita napoletana
quattro stagioni birra tutte.
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