Tuesday, October 14, 2014

Filmica - da un racconto di Aroldo Marinai









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FILMICA


Farsi della sera imbrunire vespero, camminando sciogliere le parole per riscaldamento, incontrarsi fuori quindici minuti prima dell’inizio, qualcuna ritarderà ma non di molto, lei sa lei va.
Elvira nome, parlante sempre in bisbìglio e colori tenui avvolgendola, va al cinema, ma no multisala no periferia no baraonda di genti plebee belluini richiami risate smargiasse masticare di gomme popcorni e cochecole a bere, non sia mai, pur se questi timori inconsistendo, tramontati trenta quaranta anni fa leggenda ormai, però non potersi dire, verità fosse pigrizia di spostare auto dal parcheggio, tanta fatica per trovarlo e tanta fortuna, ora per tre giorni resta lì, e i cosiddetti mezzi pubblici no grazie, quelli sì che te li raccomando, c’è delle genti… buzzurri, baluba, da dove vengono? Puzzano anche la maggior parte, e non pagano, hai mai visto uno timbrare il biglietto? più sorrisetto ironico, allora due passi a piedi facendo anche bene alla salute e ci vediamo davanti al cine. Cinemone prima visione.
Soffermarsi all’esterno delle vetrate luminose occhieggiare locandina e appecettato ritaglio recensione da quotidiano nazionale di film giudicato con eccessivo favore da articoletto a firma giovane pesando il sospetto, qualche dubbio resiste altro si insinua, di magnanimità sgangherata leggendo raffinatezza dell’incastro e intelligenza del dialogo e protagonista maschile prigioniero delle sue angosce e certa qual parabola non detta essendo lineare e chiara ma rimarchevole per impegno sociale e politico dei personaggi negativi, più lieto fine belle musiche, pezzo corredato da fotocolor della protagonista femminile con smagliante sorriso occhioni sgranati a pallina di trota lessata e busto reclinante all’obiettivo da cui vistose ombreggiature di generoso décolleté, morbidezza uguale a collinette e valloncelli su cui luce radente del tramonto lisci germogli di seminato tenero verde giallino, quanto saranno alti quindici venti centimetri di grano orzo fieno bisognerebbe intendersene per dire da lontano è difficile, similitudine permettendo.
Amiche sopraggiungendo insieme. Benone grazie e voi, contenta di rivederti Selia, quanto tempo. Eh, tre mesi a casa dai suoi, Utah, USA, Sheila detta Selia.
Entrate biglietti, Ippolita tuttavia esponendo perplessità regista attori plot, ma no ma come, se ne è sentito dire ogni bene, mah sarà per tutta risposta dubitativa.
Bere qualcosa al bar, c’è ancora tempo, ah ma ognuna per sé certo e dopo una bella pizza so io un posto non lo conosce ancora nessuno. Questi pizzaioli, un mistero, vanno vengono.
Strugge i cuori poltrone imbottite pervenire oscurità avviluppando seta e velluto sparute lucine rosse blu lontane presto invisibili solo dominando rumore di tuono più che musica annichilente  minacciosa divinità come piede premistoffa laquale appiattite non osare sollevarsi e poi finalmente l’occhio si perde risucchiato dal subisso di colori in movimento.
Prodotto da e da e da, seguendo in ordine d’apparizione o alfabetico o isolata a tutto schermo nominazione di attori maestranze regista, Deceiving titolo originale, in italiano traslatato Incubo letale.

Anatolio va in casa altrui, in visita di cortesia, dopo un po’ sale in camera, cuscino sghembo lenzuolo spiegazzato, apre l’armadio, si cambia d’abito, insomma non è più in casa d’altri, è in casa sua, ora scende in salotto, due grandi foto b/n alla parete, si siede in poltrona e dal palco assiste al concerto spagliando lo sguardo sull’affollata platea, insomma non è più in casa sua ma è a teatro, quindi esce dal palco fermandosi a contemplare la luna che splende sul mare e affondando i piedi nudi nella sabbia, dunque è all’aperto su una spiaggia, a questo punto si sveglia va in bagno si veste prepara il caffè torna a spogliarsi torna in bagno barba denti doccia torna a vestirsi ascolta notizie alla radio ricomincia a spogliarsi scruta il cielo dalla finestra e finalmente, e solo ora, si sveglia, che grande fatica, guarda il letto in disordine lenzuola appallottolate, tutto quanto ancora da fare, che tristezza che umor grigio che pessimo modo di cominciare la giornata, col malumore. Due aspirine.
All’altro capo della città dietro l’apparenza di una vita tranquilla vive Deborah, la fidanzata di Anatolio, giovane e intraprendente ricercatrice che ha perfezionato un software al cui acquisto sono interessati grandi gruppi finanziari, lei infatti sta imbarcandosi per Singapore dove si prospetta la firma di un colossale contratto. Anatolio resterà a casa.
Si va per le lunghe, sarà meglio stringere.
A Singapore Deborah incontra Lo Strego, bieco indovino informatico che gestisce una svagoteca sempre circondato da ombre ghignanti di gatti civette e ragni pelosi, pochi però i ragni. Con un misterioso rituale magico Lo Strego la mette in guardia da Anatolio sospettandolo di spionaggio industriale e di mirare al dominio del mondo dopo essersi fraudolentemente impossessato dell’invenzione di Deborah attraverso cui, finalmente si scopre, le persone morte risorgono.
Allarmata da tensioni troppo a lungo represse, in preda al peggiore degli incubi e senso di colpa crescente Deborah rientra precipitosamente a New York accompagnata da Lo Strego. I preziosi file sono scomparsi, Anatolio non si trova. Ah, e ora dove cercarlo? Finalmente i gatti e le civette riescono a localizzarlo a Coney Island. Deriva inseguimento di auto in mezzo al traffico con derapate sgommate ribaltamenti, scaravoltole diceva quello, Luigi Meneghello, dove? Jura, Bausète? stridori scompiglio pim pam revolverate.
Ferito nella sparatoria Anatolio, accusato di un crimine che non ha commesso, muore. Lo Strego procura un alibi di ferro a Deborah, ma i preziosi  file non si trovano. Cambiare aria. I due vanno a vivere a Hong Kong.
Proiettata in una situazione completamente nuova Deborah, sebbene forse inizialmente attratta da Lo Strego, dapprima respinge la sua corte poi cede. Ricattata dall’amante si presta al gioco e lottando per la sopravvivenza insieme tentano di ricostruire la formula magica. L’impresa si rivela più difficile del previsto. Lo Strego brancolando nel buio campiona una sostanza chimica all’odor di macuba che gli brucia l’intelligenza artificiale per shock anafilattico causato dall’allergia alla violetta da lui ignorata. Un epilogo tragico per scelte estreme. Sarà cremato e disperso in mare.
Ma ecco il colpo di timone, un incontro inaspettato. Deborah riconosce in un viandante malmesso il buon Anatolio che la sta cercando in giro per il mondo e che ha con sé la preziosa formula. Lui stesso è stato resuscitato dai ragni che, dissociati da gatti e civette, hanno rovistato con successo sotto il letto di Deborah trovando il dischetto fra i lanicci i fazzolettini di carta e i calzini sporchi accumulati col disordine di anni.
Per Anatolio e Deborah che finalmente hanno accesso ai palazzi del potere arrivano successo fama soldi e amore. Anche alcuni gatti e civette convertitisi a combattere le ingiustizie resteranno a vivere con loro, mentre gli altri sono morti da tempo nel rogo di due auto in California. Pace all’anima loro. The end.

Imbambolate uscire a rivedere stellanti luminarie cittadine Allora questa pizza? Ripensando al film discussione nasce. Sonniferoso secondo una, cogitosa l’altra se ermetico o totalmente idiota, capolavoro per Selia. Hollywood docet, i nordamericani saperlo loro come si fa il cinema, tutti bellissimi, migliori del mondo. Per forza, gusto nostro attuale forgiato da voi e noi pecore beeeh beeeh proni sempre in fila indiana a pagar pegno. E allora voi voi chi i francesi per esempio. Beh ma intanto Resnais Truffaut Rohmer scusa se è poco. Poi c’è Almodovar, per dire. Eh, ma lui. Comunque sempre la vecchia Europa. Noi voi resto del mondo non fatemi ridere nomi a scorrere, margherita napoletana quattro stagioni birra tutte.

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